C’è qualcosa di strano nel modo in cui valutiamo noi stessi.
Spesso chi sa poco, parla come se sapesse tutto. E chi invece ha studiato, letto, approfondito… dubita, si corregge, si misura le parole.
È un fenomeno che abbiamo osservato tutti. Ma che pochi sanno nominare.
Si chiama effetto Dunning-Kruger. E spiega molto più di quanto immaginiamo.
Non è solo una curiosità psicologica. È una lente per leggere il mondo.
Una chiave per comprendere i social, il dibattito pubblico, la diffusione delle fake news, ma anche certe dinamiche familiari o lavorative.
Ci riguarda da vicino. Perché, volenti o no, ci siamo dentro tutti.
Cos’è l’effetto Dunning-Kruger?
Nel 1999, due psicologi sociali, David Dunning e Justin Kruger, pubblicarono uno studio che avrebbe lasciato il segno.
Scoprirono che, in molti ambiti — dalla grammatica alla logica, dal ragionamento matematico al giudizio sociale — le persone meno competenti tendono a sopravvalutare drasticamente le proprie abilità.
Non solo non sanno fare qualcosa: non si accorgono nemmeno di non saperlo fare.
È il paradosso dell’incompetenza: più sei inesperto, meno sei in grado di accorgerti dei tuoi limiti.
E viceversa, chi ha competenza tende a vedere sfumature, complessità, incertezze — e quindi, si sottovaluta.
Il risultato?
Un mondo rovesciato, dove chi ha davvero competenza tende a dubitare, mentre chi ne ha poca spesso si percepisce molto più preparato di quanto non sia.
Un esempio concreto (e divertente)
Il caso che ispirò Dunning fu a dir poco surreale:
Nel 1995, McArthur Wheeler, un uomo di Pittsburgh, rapinò due banche a volto scoperto. Quando fu arrestato poche ore dopo — grazie alle registrazioni a colori delle telecamere di sicurezza — rimase sorpreso.
Perché? Perché era convinto di essere invisibile alle videocamere.
Aveva letto, da qualche parte, che il succo di limone può essere usato come “inchiostro invisibile”.
Quindi pensò che cospargendosi il volto con succo di limone, sarebbe stato anch’esso invisibile… anche alle videocamere.
Secondo quanto riportato, aveva anche testato la cosa a casa scattandosi una Polaroid, ma probabilmente aveva inquadrato male o la foto non era venuta.
Non era pazzo. Era convinto di sapere.
Ed è proprio questo il punto: quando ci manca la competenza necessaria per valutare la nostra competenza, entriamo in un loop di illusione.
Perché ci caschiamo?
Il nostro cervello ama sentirsi al sicuro.
Credere di sapere ci fa sentire al sicuro, ci dà l’impressione di avere controllo sulle cose, di sapere chi siamo e di valere qualcosa agli occhi degli altri. Invece, ammettere l’ignoranza richiede coraggio, e soprattutto la fatica e il tempo necessari per imparare davvero.
E allora ci affezioniamo alle nostre convinzioni, anche quando sono sbagliate.
L’effetto Dunning-Kruger è in parte legato a un meccanismo protettivo: ci difende dal disagio di sentirci impreparati, inferiori, spaesati. Ma questo stesso meccanismo, se non viene riconosciuto, diventa una trappola.
Ci impedisce di imparare.
Ci fa rifiutare le critiche.
Ci illude di essere migliori di quanto siamo.
E nel frattempo, chi sa davvero — per umiltà, per dubbio metodico, per senso del limite — resta in silenzio o viene messo in dubbio.
Il grafico che dice tutto
L’effetto Dunning-Kruger viene spesso rappresentato da un grafico ormai celebre.
Sull’asse orizzontale: la competenza reale.
Sull’asse verticale: la fiducia percepita.
All’inizio, appena si acquisisce una minima conoscenza, la fiducia schizza verso l’alto. È il picco dell’illusione: “Ho capito tutto!”.
Poi, man mano che si approfondisce, la fiducia crolla: “Aspetta… è molto più complicato di quanto pensassi.”
Si entra nella valle dell’umiltà.
Infine, se si continua a studiare e praticare, la fiducia risale, ma in modo più equilibrato e prudente.
Quel picco iniziale ha un nome evocativo: la montagna della stupidità.
E tutti, prima o poi, ci siamo passati.
Effetto Dunning-Kruger e società: un cocktail esplosivo
In un mondo dove chiunque può scrivere, commentare, pubblicare, convincere, l’effetto Dunning-Kruger diventa un rischio culturale.
Chi sa poco parla forte. Chi ha studiato tace o viene zittito.
Le opinioni si confondono con le competenze.
Il pensiero complesso viene ridicolizzato.
E il dubbio — che è il motore del sapere — viene scambiato per debolezza.
Il problema non è solo individuale, ma sistemico.
Sui social, le piattaforme tendono a premiare i contenuti più certi, netti, virali.
Ma la scienza, la filosofia, la comprensione umana — non funzionano così.
Sono territori di domande, non di slogan.
L’effetto Dunning-Kruger aiuta a spiegare anche:
- la diffusione delle pseudoscienze,
- la polarizzazione politica,
- la resistenza alla complessità,
- l’arroganza diffusa nei dibattiti pubblici.
Come riconoscere l’effetto Dunning-Kruger (in noi e negli altri)
Non è facile. Perché nessuno ama ammettere di essere ignorante, nemmeno a sé stesso.
Ma ecco alcuni segnali utili:
- Hai un’opinione fortissima su qualcosa che hai appena scoperto? Fermati.
- Ti sembra che tutti gli esperti stiano complicando una cosa che per te è ovvia? Rallenta.
- Ti sorprende che esistano punti di vista diversi dal tuo? Forse hai solo visto la punta dell’iceberg.
E poi, un consiglio fondamentale:
cerca chi ne sa più di te, non per farti schiacciare, ma per imparare.
Le persone veramente competenti non semplificano tutto, ma aiutano a capire.
Non usano il sapere per dominare, ma per orientare.
Non ti fanno sentire piccolo, ma curioso.
Un antidoto possibile: coltivare il dubbio, non l’insicurezza
L’effetto Dunning-Kruger non ci dice che dobbiamo tacere per sempre.
Ci dice che dobbiamo parlare con consapevolezza dei nostri limiti.
Significa avere opinioni, ma sapere distinguere tra un’intuizione personale e un’analisi fondata.
Significa sapere che imparare è un percorso, non una medaglia.
Questo progetto nasce anche per questo: offrire uno spazio di riflessione, dove riconoscere che pensare bene non è un punto di partenza, ma un lavoro continuo.
Dove l’intelligenza non è gridata, ma costruita.
Dove il sapere non è vanità, ma cura.
Imparare a pensare significa anche imparare a non fidarsi troppo di sé stessi.
E se questa frase ti sembra scoraggiante, prova a capovolgerla:
è proprio lì che comincia la vera libertà.
Non nel sapere tutto.
Ma nel sapere di non sapere ancora abbastanza.
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