Tra le espressioni più inquietanti usate nel dibattito climatico c’è quella di “punto di non ritorno”. Evocata da scienziati, ambientalisti e istituzioni internazionali, descrive il momento in cui un cambiamento nel sistema climatico diventa irreversibile, almeno su scala umana.
Ma cosa significa esattamente? È solo un modo per allarmare o rappresenta una reale soglia critica?
In questo articolo esploriamo il significato scientifico del concetto, quali punti di non ritorno climatici sono oggi sotto osservazione e perché superarli potrebbe avere conseguenze drammatiche, non solo per l’ambiente, ma per la stabilità sociale, economica e geopolitica del pianeta.
Che cos’è un punto di non ritorno climatico?
Nel linguaggio scientifico, un punto di non ritorno (tipping point, in inglese) è una soglia oltre la quale un sistema complesso — come il clima terrestre — subisce un cambiamento repentino e irreversibile, o comunque molto difficile da fermare.
È simile all’immagine di una palla in equilibrio su una collina: basta spingerla oltre un certo punto perché rotoli giù da sola, senza possibilità di riportarla indietro.
Nel contesto climatico, superare un tipping point significa innescare feedback loop (cicli di retroazione) che alimentano da soli il riscaldamento globale, anche se cessassimo le emissioni.
Esempi di punti di non ritorno
Nel 2008, un famoso studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences identificava nove potenziali punti critici del sistema climatico terrestre. Da allora, ulteriori ricerche hanno raffinato la lista. Ecco alcuni tra i più discussi:
1. Scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia
Una volta avviato, lo scioglimento massiccio dei ghiacci può aumentare il livello del mare di oltre 7 metri, anche se ci vorranno secoli. Il processo potrebbe diventare irreversibile già con un riscaldamento di 1,5-2°C.
2. Collasso della calotta antartica occidentale
Simile alla Groenlandia, ma potenzialmente ancora più instabile. Studi recenti mostrano segnali preoccupanti di indebolimento delle piattaforme di ghiaccio.
3. Disgregazione del permafrost
Il permafrost è il suolo ghiacciato dell’Artico che trattiene enormi quantità di metano e CO₂. Se si scioglie, rilascia questi gas, che a loro volta accelerano il riscaldamento, innescando un circolo vizioso.
4. Morte delle barriere coralline tropicali
Gli ecosistemi corallini non sopportano aumenti di temperatura e acidificazione degli oceani. Gran parte della Grande Barriera Corallina australiana ha già subito sbiancamenti di massa. Una volta superato un certo stress termico, la rigenerazione diventa quasi impossibile.
5. Collasso dell’AMOC (corrente atlantica)
L’AMOC (Atlantic Meridional Overturning Circulation), di cui fa parte la corrente del Golfo, regola il clima tra Nord America, Europa e Africa. Un suo rallentamento o arresto provocherebbe sconvolgimenti regionali: ondate di gelo in Europa, siccità in Africa occidentale, uragani più potenti negli USA.
6. Morte della foresta amazzonica
La foresta pluviale amazzonica genera gran parte delle proprie piogge. La deforestazione e la siccità possono spingerla oltre un punto critico in cui non riesce più a sostenersi, trasformandosi in una savana e liberando enormi quantità di CO₂.
Soglie critiche: quanto siamo vicini?
Nel 2023, un rapporto pubblicato su Science e supportato dall’IPCC ha indicato che alcuni punti di non ritorno potrebbero essere superati già tra 1,5°C e 2°C di riscaldamento globale. Considerando che oggi siamo già a circa 1,2°C sopra i livelli preindustriali, il margine è molto ridotto.
Il rischio aumenta se si considerano interazioni tra i diversi tipping points: il superamento di uno potrebbe accelerare gli altri, innescando una cascata climatica.
Esempio: il riscaldamento fa sciogliere il permafrost → rilascia metano → aumenta l’effetto serra → scioglie i ghiacci groenlandesi → rallenta l’AMOC → modifica il clima globale.
Perché si parla di “non ritorno”?
Il concetto di “non ritorno” non significa che tutto accade in un giorno, né che si tratti di un punto netto, come un interruttore. Spesso si tratta di processi graduali che diventano autoalimentati. Anche se smettessimo di emettere oggi, alcuni effetti continuerebbero per inerzia climatica.
Questo è ciò che li rende così pericolosi: non possiamo semplicemente “tornare indietro” con qualche tecnologia o misura politica. Possiamo rallentarli, ma non annullarli, almeno non in tempi brevi o con gli strumenti attuali.
Cosa possiamo fare?
1. Rimanere sotto 1,5°C
È la soglia indicata dall’Accordo di Parigi come limite per evitare i peggiori scenari. Superarla non significa “fine del mondo”, ma aumento esponenziale dei rischi.
2. Tagliare le emissioni ora
Ogni decennio conta. Ogni frazione di grado in meno riduce la possibilità di superare punti critici.
3. Proteggere gli ecosistemi chiave
Foreste, torbiere, oceani e ghiacciai non sono solo “natura”: sono sistemi di regolazione climatica.
4. Prepararsi e adattarsi
Anche se alcuni cambiamenti sono ormai inevitabili, possiamo adattarci in modo più o meno equo e resiliente, proteggendo le comunità più vulnerabili.
È solo allarmismo?
Il rischio di “allarmismo climatico” esiste, ma non è l’IPCC a farlo. Anzi, i suoi rapporti sono spesso accusati di essere troppo conservativi. Il concetto di tipping point nasce da solide basi scientifiche, e non va ignorato solo perché inquietante.
Piuttosto che creare panico, il suo scopo è generare responsabilità e consapevolezza: far capire che non abbiamo tutto il tempo che vogliamo. Agire oggi è molto più efficace — e meno costoso — che intervenire domani.
Il punto di non ritorno nel riscaldamento globale non è una leggenda o una minaccia retorica: è una soglia concreta, definita dalla scienza, che può determinare il destino del nostro pianeta per generazioni.
Siamo ancora in tempo per evitarlo, ma solo se prendiamo decisioni coraggiose e rapide, collettivamente e globalmente.
La buona notizia è che conosciamo i rischi, gli scenari e le soluzioni. La domanda è se avremo il coraggio — politico, economico e culturale — di agire prima che sia davvero troppo tardi.
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