Una riflessione scomoda su costi, accessibilità e silenzi collettivi
“Andate in terapia, è importante.”
“Chiedere aiuto è un atto di coraggio.”
“Come il medico cura il corpo, lo psicologo cura la mente”
Tutti messaggi giusti, condivisibili. Eppure, manca qualcosa.
Viviamo in un tempo in cui si parla sempre più di salute mentale, ed è un bene. Lo stigma si sta lentamente sgretolando, e chiedere aiuto non è più considerato un segno di debolezza, ma un atto di forza. Ma proprio mentre si fa strada questa nuova consapevolezza collettiva, c’è un’ombra che nessuno sembra voler nominare davvero.
Un’enorme verità taciuta che sta lì, ferma al centro della stanza, e non per complottismi o altre sciocchezze del genere, ma perché siamo diventati una società molto disattenta.
Ed è l’elefante, appunto. Che ha un nome preciso: il costo della psicoterapia.
Il prezzo (spesso insostenibile) del benessere psicologico
Nel dibattito pubblico, nei post sui social, nei talk televisivi e nei podcast, si sente ripetere all’infinito quanto sia importante affidarsi a uno psicoterapeuta. E siamo d’accordo su questo. Ma si tace sul fatto che la psicoterapia costa — e anche parecchio.
In Italia, le tariffe variano da 50 euro (e a 50 euro vi è andata molto bene) a 90 euro a seduta, con punte di 100 euro e oltre in alcune città. E ogni seduta dura in media 50 minuti.
La frequenza? Nella maggior parte dei casi è settimanale. Talvolta ogni due settimane, più raramente mensile. E se il problema è grave, può servire più di un incontro a settimana.
Tradotto in cifre: da circa 200 a 360 euro al mese, che equivalgono a 2.500–4.000 euro l’anno.
Una spesa che molte persone non possono permettersi.
Ma che non osano neanche mettere in discussione, per non sembrare ciniche, pigre o “resistenti al cambiamento”. Ma non è così, il costo di un percorso di Psicoterapia è evidente, la difficoltà economica dei lavoratori in Italia anche.
Nessuna garanzia di guarigione
C’è un altro nodo critico, raramente discusso con onestà: la psicoterapia non è un servizio a risultato garantito.
Non si può sapere in anticipo se funzionerà.
Non si può prevedere quanto durerà. O almeno, si può fare una stima, ma solo per alcune situazioni.
E — cosa ancora più complessa — non sempre è possibile capire se si sta realmente migliorando o semplicemente “sopravvivendo meglio”.
La psicoterapia non è come cambiare una gomma bucata o riparare un rubinetto che perde. O come fare delle analisi del sangue e vedere se hai il colesterolo alto. È tutto più complicato, la diagnosi può risultare errata (come purtroppo accade anche negli ospedali) e non può esserci un tempo di risoluzione stabilito.
Eppure, per fare un esempio comprensibile a tutti, se chiedessimo a una persona di spendere 2.000 euro per sistemare un guasto elettrico, o di fare delle cure per un dente cariato, da devitalizzare, o una dieta per perdere massa grassa,
e il tutto dopo mesi resta lì, ancora irrisolto, secondo voi come reagirebbe? Come reagireste?
Attenzione però, questa non è una provocazione, ma un invito alla riflessione: perché nel contesto della salute mentale accettiamo dinamiche che altrove troveremmo inaccettabili?
Il peso sulle spalle del paziente
La narrazione dominante — anche in molti ambienti professionali — tende a spingere l’idea che se la terapia non funziona, è perché il paziente non si impegna abbastanza, o non ha ancora trovato “la persona giusta”.
Ma cercare il terapeuta “giusto” è un altro percorso a ostacoli.
Ogni nuovo tentativo implica nuove sedute, nuovi costi, nuovo tempo. Perché è necessario dedicare qualche seduta, non puoi giudicare il tuo / la tua psicoterapeuta in una sola seduta. Quindi ulteriore fatica organizzativa nel trovare un altro/a psicoterapeuta, oltre a quella emotiva, perché non dimentichiamo che tutto questo accade mentre si è già in difficoltà.
Così, chi non riesce a sostenere il percorso, non solo resta senza aiuto, ma si sente anche in colpa.
Per non “aver insistito”, per non “aver investito su sé stesso”, per “non aver voluto davvero guarire”.
Ma cosa succede se il problema non è la motivazione, ma la disponibilità economica?
Anche la psicoterapia ha le sue zone d’ombra
Esistono tantissimi professionisti onesti, preparati, capaci.
Ma come in tutte le professioni, anche nella psicoterapia c’è chi mantiene in terapia pazienti senza reale beneficio, spingendo a continuare senza prospettiva.
Talvolta per convinzione, talvolta per disillusione. Talvolta, semplicemente, perché anche loro devono portare a casa uno stipendio.
È un tema tabù, che raramente viene affrontato pubblicamente — anche per non alimentare sfiducia verso la categoria.
Ma fare finta che i problemi appena menzionati non esistano, non aiuta a mentenere questa fiducia guadagnata nel tempo, non aiuta a far si che le persone continuino ad avere fiducia verso la Psicologia come scienza.
Trovo che sia molto più etico, e utile per tutti, prendersi la responsabilità di guardare, capire e ammettere con onestà, che ci sono ancora troppi problemi, limiti e purtroppo storture personali. Perché se la psicoterapia è davvero uno strumento di cura, non può evitare di guardarsi allo specchio.
Il tabù del prezzo e il silenzio della società
Perché si parla tanto del bisogno di fare terapia e così poco del fatto che molti non possono permettersela?
Perché si tace sul fatto che non esiste, oggi, un accesso democratico e garantito alla psicoterapia in Italia?
È giusto incoraggiare le persone a prendersi cura della propria salute mentale, ma è onesto farlo senza offrire alternative accessibili?
Dove sono le voci autorevoli che chiedono più investimenti nella psicologia pubblica?
Dove sono i collettivi, le associazioni, le università che portano avanti un discorso politico e culturale su questo tema?
Non basta parlare di burnout, ansia e depressione nei convegni. Serve parlare anche di soldi.
Si, c’è il bonus psicologo, che è sicuramente meglio di niente, ma a mio avviso non va per niente bene.
Ma voi vi immaginate se istituissero il bonus anestesista, il bonus cardiologo o il bonus oncologo e via dicendo?
Ma scherziamo?! Non è e NON deve essere questa la strada da percorrere.
Quando, a distanza di anni, ho iniziato nuovamente un percorso di psicoterapia, ero affranto certo, ma nutrivo anche molta speranza. Dopo qualche mese però non capivo se stessi migliorando. E soprattutto non riuscivo più a sostenere la spesa. Ogni seduta era un peso sullo stomaco, non solo per la fatica emotiva in sé, ma per quello che costava. Ho provato a cambiare terapeuta, poi un altro, e poi un’altra ancora. Ogni volta era ricominciare da capo.
E alla fine mi sono fermato.
Non per scelta, ma per esaurimento. Economico, emotivo, mentale. Non racconto questo per screditare la psicoterapia, ma per dire che questa storia non è solo mia. È di tante, tantissime altre persone. Eppure non se ne parla.
Serve una nuova consapevolezza, da parti di tutti: pazienti, terapeuti, istituzioni, media.
Questo articolo non è contro la psicoterapia, né contro chi la pratica, e men che meno contro la Psicologia come scienza.
È contro il silenzio. Contro una società troppo distratta e arrendevole.
È contro la narrazione parziale e idealizzata che ne viene fatta.
E contro l’invisibilità economica che affossa migliaia di persone che vorrebbero, ma non possono.
La psicoterapia è uno strumento prezioso, ma non può essere proposta come unica risposta universale. Non può diventare un consiglio automatico, quasi riflesso, ignorando le situazioni e le condizioni reali delle singole persone.
E soprattutto, non può continuare a ignorare la questione economica, se davvero si vuole parlare di cura, di equità e di giustizia.
Qualcuno ha detto:
“Non è segno di buona salute mentale adattarsi perfettamente a una società profondamente malata.”
Chi ha il potere di curare, ha anche la responsabilità di guardare dove il sistema non funziona, dove il sistema fallisce, e fare di tutto per cambiarlo.
E oggi, proprio lì, si trova l’elefante nella stanza.