Quando disegnare il mondo significava decidere chi lo comandava
Oggi gli atlanti ci appaiono come innocui strumenti di consultazione: eleganti volumi da scaffale, mappe ordinate e colorate, nomi di paesi e confini ben definiti. Ma non è sempre stato così. Gli atlanti, nella loro lunga storia, sono stati armi di propaganda, strumenti di controllo, simboli di potere. Non solo rappresentavano il mondo: lo interpretavano, lo semplificavano, lo decidevano.
Dietro quelle pagine ricche di linee e colori si nasconde una storia affascinante fatta di bugie, di intuizioni geniali, di segreti di stato e perfino di trappole diplomatiche. Perché la cartografia non è mai stata solo geografia: è sempre stata anche politica, cultura e immaginazione.
Prima degli atlanti: quando il mondo era un mistero
Per secoli, l’umanità ha cercato di rappresentare il mondo senza sapere bene cosa ci fosse al di là dell’orizzonte. Le prime mappe erano mitologiche o religiose, non geografiche. Nell’antichità, le mappe babilonesi mostravano la Terra come un disco piatto circondato dall’oceano; quelle medievali europee, come le famose mappae mundi, ponevano Gerusalemme al centro, con l’Est (e quindi il Paradiso) in alto.
Non si trattava di rappresentare lo spazio con precisione, ma di ordinare simbolicamente il cosmo.
Fu solo con l’età delle esplorazioni, tra il XV e il XVI secolo, che emerse la necessità di una rappresentazione più accurata. La navigazione, il commercio e la guerra avevano bisogno di mappe affidabili. E qui entra in gioco una figura fondamentale: Gerardo Mercatore.
Mercatore e l’atlante che cambiò tutto
Nel 1569, il cartografo fiammingo Gerardo Mercatore pubblicò una mappa che avrebbe cambiato la storia: la proiezione cilindrica conforme, che ancora oggi porta il suo nome. Questa proiezione permetteva ai marinai di tracciare rotte rettilinee, fondamentali per la navigazione. Ma deformava le proporzioni: l’Europa e il Nord del mondo risultavano molto più grandi dell’Africa o del Sud America.
Un “errore” tecnico? Forse. Ma anche un riflesso dei rapporti di potere dell’epoca: i colonizzatori al centro e in alto, i colonizzati rimpiccioliti e ai margini.
Pochi anni dopo, nel 1595, lo stesso Mercatore pubblicò un’opera postuma curata dal figlio: un volume di mappe chiamato Atlas sive Cosmographicae Meditationes. Fu la prima volta nella storia che una raccolta di carte geografiche venne chiamata “Atlante”.
Il nome fu ispirato non al titano greco che regge il mondo, come spesso si crede, ma a Re Atlante della mitologia berbera, descritto come un grande astronomo. Eppure l’immagine dell’uomo che sostiene il globo finì col diventare il simbolo stesso dell’opera. Così nacque l’atlante moderno.
Atlanti, colonie e confini mobili
Durante l’epoca coloniale, gli atlanti non erano solo strumenti per viaggiatori o studiosi. Erano strumenti del potere imperiale. Le mappe venivano ridisegnate per riflettere le conquiste, per affermare la supremazia di una nazione, o addirittura per anticipare territori da occupare.
Alcuni atlanti tedeschi del XIX secolo inserivano territori non ancora colonizzati ma “ambiti”, mentre quelli britannici coloravano in rosso interi continenti, consolidando visivamente l’idea dell’Impero.
La cartografia non era più solo descrizione del mondo, ma creazione di realtà. Mettere un confine su una mappa poteva significare dividerlo anche nella realtà. Molte delle tensioni geopolitiche moderne (dall’Africa al Medio Oriente) hanno origine in linee tracciate a tavolino in qualche sala europea.
Atlanti e propaganda nel Novecento
Con il Novecento, la funzione degli atlanti si fece ancora più sottile. Durante le guerre mondiali, ad esempio, furono pubblicati atlanti propagandistici che mostravano la Germania “naturale”, inglobando territori slavi. Negli USA, durante la Guerra Fredda, gli atlanti scolastici mostrano l’URSS come una massa compatta e minacciosa, mentre nei paesi sovietici le mappe omettevano intere città segrete.
In entrambi i blocchi, la cartografia veniva usata per plasmare la percezione del nemico, per creare consenso, per disegnare un mondo “amico” e uno “ostile”.
Atlanti digitali: il potere delle mappe non è finito
Oggi gli atlanti cartacei sembrano oggetti del passato, sostituiti da Google Maps, GPS e mappe interattive. Ma il potere simbolico delle mappe è ancora fortissimo. Le dispute territoriali si combattono anche sui motori di ricerca: alcuni paesi, come Cina o India, impongono a Google di modificare la rappresentazione dei confini in base al pubblico locale.
Anche l’ordine con cui compaiono i nomi delle città, le lingue mostrate, o le etichette geografiche, sono atti politici mascherati da neutralità tecnologica.
In più, la mappa stessa è diventata uno strumento identitario: pensiamo a tutti i gadget, poster e oggetti d’arredo che usano mappe stilizzate. La cartografia è diventata design, estetica, ma senza perdere il suo fascino profondo: quello di darci l’illusione di capire il mondo con uno sguardo dall’alto.
Leggere un atlante è leggere il potere
Gli atlanti non sono mai stati solo strumenti per orientarsi. Sono stati, e sono ancora, specchi di un’epoca, dei suoi desideri e delle sue contraddizioni. Ogni atlante è il racconto di un mondo possibile, spesso più desiderato che reale.
Studiare la storia degli atlanti significa dunque leggere la storia delle idee, delle ideologie, delle illusioni di controllo. Significa capire che chi disegna una mappa non mostra il mondo com’è, ma come vuole che sia visto.
E forse, oggi più che mai, dobbiamo imparare a leggere tra le righe… anche quando sono parallele e colorate.