Nel mondo multipolare e instabile del XXI secolo, il sogno di un ordine globale basato sulla cooperazione, sulla pace e sul diritto internazionale sembra più fragile che mai. Guerre, crisi climatiche, disuguaglianze, pandemie e rivoluzioni tecnologiche avanzano con rapidità, mentre le istituzioni che dovrebbero affrontarle sembrano spesso in ritardo, inefficaci, impantanate.
Tra tutte, l’Organizzazione delle Nazioni Unite – l’ONU – è quella che più di ogni altra rappresenta l’ideale della governance globale, ma anche le sue contraddizioni più profonde.
Che ruolo ha oggi l’ONU? Quanto conta davvero nelle dinamiche internazionali? Quali sono i suoi poteri, i suoi limiti, le sue sfide?
Un’istituzione nata dalle ceneri
L’ONU nasce nel 1945, all’indomani della Seconda guerra mondiale, con uno scopo chiaro e ambizioso: evitare un nuovo conflitto mondiale. Il mondo era devastato, l’equilibrio geopolitico in frantumi, e c’era il bisogno urgente di costruire un’architettura che garantisse la pace attraverso il dialogo, il multilateralismo e il diritto.
L’ONU, con sede a New York, è stata fondata da 51 Stati. Oggi ne conta 193, praticamente l’intera comunità internazionale. La sua Carta costitutiva è uno dei documenti fondamentali del diritto internazionale moderno, e definisce i suoi obiettivi: mantenere la pace e la sicurezza internazionale, promuovere i diritti umani, sostenere lo sviluppo sostenibile, rafforzare la cooperazione tra i popoli.
Nel corso del tempo, l’ONU ha svolto un ruolo importante: ha contribuito alla decolonizzazione, ha promosso importanti trattati (come quelli sul clima o sui diritti umani), ha svolto missioni di pace e ha fornito assistenza umanitaria in ogni angolo del pianeta.
Eppure, oggi più che mai, si fa largo una domanda scomoda: l’ONU conta ancora davvero qualcosa?
Il Consiglio di Sicurezza: il cuore del problema
Il potere vero, all’interno dell’ONU, è concentrato nel Consiglio di Sicurezza, composto da 15 membri, di cui 5 permanenti con diritto di veto: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito. Questo assetto riflette gli equilibri del mondo del 1945, ma appare oggi sempre più obsoleto e sbilanciato.
Il diritto di veto consente a qualsiasi membro permanente di bloccare qualunque risoluzione, anche in presenza di consenso mondiale. Questo significa che, in pratica, le grandi potenze possono paralizzare l’ONU quando i loro interessi sono in gioco.
E infatti accade regolarmente.
- La Russia ha usato il veto per impedire condanne sull’invasione dell’Ucraina.
- Gli Stati Uniti lo usano spesso per proteggere Israele da risoluzioni critiche.
- La Cina ha bloccato interventi in difesa dei diritti umani a Hong Kong o in Tibet.
Il risultato è un paradosso inquietante: l’istituzione creata per mantenere la pace è spesso impotente proprio nei casi in cui la pace è più a rischio.
L’ONU e le crisi contemporanee
Negli ultimi anni, le crisi globali hanno messo a dura prova l’efficacia dell’ONU. Dalla Siria all’Ucraina, dal Sudan allo Yemen, l’organizzazione si è trovata marginalizzata, costretta a interventi diplomatici deboli o all’impotenza totale.
Nel frattempo, la crisi climatica ha evidenziato quanto sia difficile per l’ONU guidare un processo globale vincolante. Gli Accordi di Parigi del 2015 sono stati un successo simbolico, ma la loro natura non vincolante ha ridotto l’impatto reale: ogni Paese è libero di decidere quanto e come impegnarsi.
La pandemia di Covid-19 ha mostrato un altro limite: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che fa parte del sistema ONU, si è trovata sotto attacco politico, finanziariamente debole e priva di poteri coercitivi. L’egoismo nazionale ha prevalso, e la distribuzione dei vaccini è stata tutto fuorché equa.
Un gigante burocratico?
Una delle accuse frequenti all’ONU è quella di essere un colosso burocratico, costoso e inefficiente. Con decine di agenzie, programmi e sottosezioni (UNESCO, FAO, UNHCR, UNICEF, UNDP, e molte altre), il sistema delle Nazioni Unite è estremamente ramificato.
Se da un lato questa struttura consente di intervenire su moltissimi fronti – dall’istruzione alla fame nel mondo, dalle emergenze umanitarie ai diritti dei rifugiati – dall’altro lentezze, sprechi, eccessiva diplomazia e scarso coordinamento ne minano spesso l’efficacia.
A ciò si aggiunge un problema di rappresentanza: molte nazioni, specialmente del Sud globale, si sentono escluse dai processi decisionali reali. Il potere resta in mano a pochi, mentre gli altri sono costretti a ruoli marginali.
Tra soft power e moral suasion
Ma l’ONU non ha solo un ruolo formale. Ha anche una funzione simbolica e morale, che non va sottovalutata.
Quando l’Assemblea Generale vota a larghissima maggioranza una risoluzione che condanna una guerra o una violazione dei diritti umani, il messaggio che manda al mondo ha un peso politico, anche se non ha forza legale. L’ONU è, per molti paesi, una tribuna internazionale, un luogo dove farsi sentire, anche contro le grandi potenze.
Inoltre, le agenzie ONU spesso fanno un lavoro silenzioso ma fondamentale, portando aiuti dove altri non arrivano, proteggendo i rifugiati, promuovendo lo sviluppo e i diritti delle donne, monitorando le violazioni.
E in un mondo sempre più frammentato, avere un luogo in cui i rappresentanti di quasi tutte le nazioni possano parlarsi, anche solo simbolicamente, è ancora una risorsa cruciale.
Riformare l’ONU: utopia o necessità?
Da decenni si parla della necessità di riformare le Nazioni Unite, in particolare il Consiglio di Sicurezza. Le proposte sono molteplici: ampliarne la composizione, abolire o limitare il diritto di veto, includere nuove potenze emergenti (come India, Brasile, Germania, Giappone), dare più spazio al Sud globale.
Ma ogni tentativo concreto si è scontrato con lo stesso ostacolo: i membri permanenti non vogliono cedere potere. E qualsiasi riforma strutturale richiede proprio il loro consenso.
Siamo di fronte a un paradosso: un sistema che riconosce la necessità di cambiare, ma è bloccato dalle sue stesse regole. E così, si moltiplicano le iniziative parallele: accordi regionali, trattati multilaterali fuori dall’ONU, club di potenze (come il G20 o i BRICS) che bypassano le Nazioni Unite.
Questo rischia di rendere l’ONU sempre più irrilevante, proprio nel momento in cui ci sarebbe più bisogno di un coordinamento globale efficace.
Quale futuro per la governance globale?
Il mondo di oggi ha bisogno di forme nuove di cooperazione internazionale, capaci di affrontare sfide che nessun Paese può risolvere da solo: crisi ecologiche, cybersicurezza, intelligenza artificiale, migrazioni, disuguaglianze, pandemie.
In questo scenario, l’ONU potrebbe ancora avere un ruolo importante, ma a due condizioni:
- Rinnovare la sua architettura istituzionale, rendendola più equa, rappresentativa e agile.
- Riscoprire la sua missione originaria, che non è gestire il potere, ma guidare il mondo verso la pace, la cooperazione e la giustizia.
Senza un rilancio politico e culturale profondo, l’ONU rischia di diventare un’arca vuota, testimone del passato più che protagonista del futuro.
Ma con un rinnovato impegno da parte degli Stati membri e della società civile globale, può ancora essere la casa del mondo.
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