Le immagini si assomigliano: torrenti trasformati in fiumi di fango, strade come canali, auto sommerse, case evacuate, famiglie in ginocchio, raccolti distrutti. In pochi giorni, l’acqua che cade dal cielo sembra capace di riscrivere la geografia di un territorio, azzerando certezze, disegnando nuovi margini del pericolo.
All’inizio di luglio 2025, il nord Italia è stato colpito da una nuova ondata di piogge torrenziali. A essere più colpite sono state alcune aree del Piemonte, dell’alta Lombardia e del Veneto, dove le intense precipitazioni hanno provocato l’esondazione di diversi corsi d’acqua, allagamenti nelle zone rurali e urbane e numerosi smottamenti. Alcuni comuni tra le province di Verbania, Sondrio e Vicenza sono finiti sott’acqua nel giro di poche ore. Migliaia di famiglie evacuate, danni ingenti a strade e infrastrutture, raccolti distrutti: un copione ormai fin troppo noto.
Nel frattempo, negli Stati Uniti, il fiume Guadalupe in Texas ha rotto gli argini, travolgendo intere comunità nella zona centro-orientale dello Stato. A oggi, il bilancio parla di oltre 30 vittime accertate, decine di dispersi e centinaia di migliaia di persone rimaste senza elettricità o costrette ad abbandonare le proprie abitazioni. Intere contee sono state dichiarate zona di disastro naturale. In entrambi i casi, le autorità parlano di “evento estremo” ma, sempre più spesso, questi eventi estremi diventano la norma.
Perché tutto questo sta accadendo con sempre maggiore frequenza? E, soprattutto, cosa possiamo fare – ora – per non essere sempre impreparati?
Cosa sta cambiando nel clima
C’è un dato fisico, semplice ma potente: più l’aria è calda, più vapore acqueo può contenere. Secondo le leggi della termodinamica, per ogni grado in più di temperatura, l’atmosfera può trattenere circa il 7% di umidità in più. Questo significa che, con il riscaldamento globale in atto, le condizioni per precipitazioni violente sono sempre più frequenti.
Il sesto rapporto IPCC (2023) è chiaro: gli eventi di pioggia intensa sono già aumentati in molte regioni del mondo, e continueranno ad aumentare. Anche ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e ARPA (Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente) confermano una tendenza netta in Italia: non piove necessariamente di più nell’arco dell’anno, ma piove in modo diverso. Meno piogge leggere e distribuite, più piogge concentrate e distruttive.
Il problema non è solo quanta acqua cade, ma come, dove e in quanto tempo. I suoli non riescono ad assorbirla, le infrastrutture non reggono, i fiumi esondano. Ed è lì che il cambiamento climatico incontra l’altra grande fragilità: quella del territorio.
L’Italia sotto stress idrogeologico
L’Italia è uno dei paesi più fragili d’Europa dal punto di vista idrogeologico. Colline e montagne coprono gran parte del territorio, con pendii spesso instabili, bacini fluviali mal gestiti e coste soggette a erosione.
A questo si aggiunge un’eredità urbanistica pesante: costruzioni in aree a rischio, espansione disordinata, cementificazione diffusa, fiumi tombati o deviati. Secondo ISPRA, oltre il 90% dei comuni italiani è a rischio frane o alluvioni, e oltre 8 milioni di persone vivono in aree potenzialmente pericolose.
Le cause? Incuria, mancanza di manutenzione, discontinuità nei finanziamenti, piani regolatori spesso obsoleti o disattesi. Le città, progettate per un clima del passato, non sono pronte per il clima del presente. Le reti fognarie si intasano, i tombini saltano, le aree impermeabili impediscono l’assorbimento dell’acqua.
I costi? Secondo i dati dell’Ance, tra il 2010 e il 2022 lo Stato italiano ha speso oltre 13 miliardi di euro per riparare i danni da dissesto, contro meno della metà per prevenirli. Una strategia reattiva che si sta dimostrando insostenibile.
Il confronto internazionale
Il caso del Texas di luglio 2025 è emblematico. Le piogge torrenziali hanno provocato l’esondazione del fiume Guadalupe, mettendo in ginocchio ampie zone delle contee di Gonzales, DeWitt e Victoria. Nonostante le evacuazioni preventive in alcune aree, l’intensità dell’evento ha superato le previsioni. Oltre 30 persone hanno perso la vita, molte delle quali intrappolate in abitazioni o veicoli. La pioggia ha colpito con una violenza concentrata: in meno di 36 ore, è caduta l’acqua di un intero mese. In diverse aree rurali, i soccorsi hanno impiegato ore per raggiungere i residenti a causa delle strade distrutte.
Negli Stati Uniti, tuttavia, l’organizzazione logistica e la presenza di piani d’emergenza codificati hanno permesso di contenere i danni in molte aree e di attivare subito lo stato federale d’emergenza. Sistemi di allerta rapidi, comunicazione capillare, coinvolgimento delle comunità locali: elementi chiave che hanno fatto la differenza.
In Europa, alcuni Paesi stanno affrontando la crisi climatica con strategie di lungo termine. I Paesi Bassi, ad esempio, hanno sviluppato un modello avanzato di convivenza con l’acqua, basato su una visione sistemica: dighe mobili, aree di espansione dei fiumi, infrastrutture urbane pensate per accogliere l’acqua, non solo per respingerla. Anche Germania, Belgio e Danimarca stanno investendo in città resilienti, con strade drenanti, spazi verdi multifunzionali e politiche urbane che mettono la gestione idrica al centro.
Cosa possiamo imparare da questi esempi? Che la risposta all’intensificarsi delle piogge non può essere solo emergenziale. Serve una strategia strutturale, adattiva, lungimirante.
Cosa dovremmo fare, adesso
In Italia si parla spesso di emergenze, meno di resilienza. Ma ormai è chiaro: non possiamo evitare che piova. Possiamo però decidere come prepararci.
Ecco alcune azioni concrete da mettere in campo:
- Infrastrutture intelligenti: costruire e potenziare reti di raccolta e smaltimento delle acque piovane. Creare vasche di laminazione, cioè bacini artificiali che accumulano l’acqua in eccesso durante le piogge intense.
- Rinaturalizzazione urbana: aumentare le superfici permeabili nelle città, riducendo asfalto e cemento. Parcheggi in ghiaia drenante, giardini pluviali, corsi d’acqua riportati in superficie.
- Manutenzione del territorio: pulizia dei corsi d’acqua, messa in sicurezza dei versanti, aggiornamento dei piani regolatori con mappe di rischio aggiornate.
- Educazione pubblica: insegnare fin dalle scuole cosa fare in caso di alluvione, come leggere un’allerta meteo, perché serve più verde e meno cemento.
- Tecnologia e monitoraggio: sensori, satelliti, modelli predittivi e sistemi di allerta possono salvare vite, se usati correttamente.
- Fondi stabili e trasparenti: servono investimenti pubblici pluriennali, e non solo stanziamenti straordinari dopo i disastri. La prevenzione costa meno della ricostruzione.
Come dimostrano i Paesi che ci riescono, le soluzioni ci sono. Ma richiedono una politica capace di pensare in termini di decenni, non solo di cicli elettorali.
Dalla paura alla cultura della prevenzione
Non possiamo controllare il cielo. Ma possiamo decidere come abitiamo la terra.
Il cambiamento climatico non è più una minaccia futura: è il contesto del presente. Negarlo o sottovalutarlo significa condannarsi all’emergenza permanente. Serve una nuova mentalità, una nuova grammatica del rischio, una nuova cultura del territorio.
Non possiamo evitare che piova. Ma possiamo decidere se farci trovare pronti o no. Se lasciare che l’acqua diventi un nemico, o se imparare a conviverci.
E tu? Ti fidi delle promesse, o pretendi soluzioni vere? Hai mai chiesto al tuo Comune cosa sta facendo per prevenire il dissesto? Perché la resilienza non è solo una parola tecnica: è una scelta collettiva. E comincia anche da te.
Lo sapevi che?
In Olanda, esiste un piano nazionale chiamato Room for the River, che prevede di restituire spazio naturale ai fiumi per permettere loro di esondare in modo controllato. Invece di costruire solo argini, si creano zone di espansione e aree naturali. Un approccio che protegge le città e allo stesso tempo valorizza l’ambiente.
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