Il pensiero umano ha sempre avuto bisogno di spazio per depositarsi. Gli appunti sono quel luogo silenzioso dove le idee imparano a restare.
C’è qualcosa di profondamente umano nel gesto di prendere appunti. Non importa se lo si fa con una stilografica su carta ruvida o digitando rapidamente su un’app: l’atto di scrivere per sé stessi, di fermare il pensiero in corsa, è antico quanto il linguaggio.
Ma quando sono nati gli appunti? Chi sono stati i primi a sentire il bisogno di registrare una lezione, un’idea, un’intuizione? E come si è evoluto nel tempo questo strumento così personale, così quotidiano, eppure così invisibile nella storia ufficiale?
Per rispondere, dobbiamo tornare indietro di molti secoli. Perché la storia degli appunti è anche la storia della memoria culturale dell’umanità.
Dalle tavolette d’argilla alle pergamene: la nascita della scrittura privata
Nell’antica Mesopotamia, già nel III millennio a.C., si scriveva su tavolette d’argilla. La scrittura cuneiforme serviva per registrare transazioni, inventari, leggi. Ma già allora esistevano note brevi, conti personali, elenchi scritti per uso interno: i primi “appunti” della storia.
Gli antichi egizi, con i loro papiri, annotavano formule magiche, ricette mediche, osservazioni astronomiche. Anche i Greci e i Romani avevano una tradizione di scrittura minuta e personale.
Gli studenti usavano tavolette cerate su cui incidevano con lo stilo, poi cancellavano riscaldandole: un sistema riutilizzabile, molto simile a una moderna lavagnetta.
Nel mondo latino, il termine ephemeris indicava proprio le note quotidiane: un embrione del diario e del calendario.
Con il Medioevo, il supporto principale diventa la pergamena: preziosa, costosa, ma più resistente. Nei monasteri, i monaci copiavano testi sacri ma lasciavano glosse e commenti ai margini: non solo annotazioni filologiche, ma anche riflessioni personali, critiche, dubbi. Gli appunti diventavano dialogo con il testo, forma viva di apprendimento.
Appunti e Rinascimento: il sapere si espande
Con l’Umanesimo e il Rinascimento, l’appunto acquista nuova dignità. L’uomo rinascimentale scrive, copia, sottolinea, commenta. Le biblioteche si riempiono di zibaldoni, quaderni eterogenei dove studiosi e artisti annotano idee, citazioni, disegni, osservazioni scientifiche.
Leonardo da Vinci è forse il caso più celebre: i suoi taccuini non sono solo raccolte di schizzi, ma autentiche mappe mentali in cui arte, anatomia, botanica, meccanica e filosofia si mescolano senza soluzione di continuità.
Scrive da destra a sinistra, in modo speculare, forse per riservatezza, forse per abitudine. In ogni caso, i suoi appunti sono laboratori mobili del pensiero.
In questi secoli si afferma l’uso del quaderno personale, spesso rilegato in pelle o cuoio, usato da studenti, artigiani, mercanti, esploratori. L’appunto diventa strumento di studio e di viaggio, ponte tra il sapere pubblico e quello privato.
Età moderna: l’epoca dei taccuini e dei margini
Dal Seicento all’Ottocento, la pratica dell’annotazione si consolida.
Gli studiosi prendono appunti durante le lezioni universitarie (come farà anche Leopardi), i viaggiatori annotano paesaggi e incontri, i filosofi costruiscono sistemi attraverso frammenti.
Montaigne, Pascal, Goethe, Darwin, Wittgenstein: tutti hanno lasciato taccuini, diari o quaderni di appunti.
Anche la stampa, paradossalmente, non annulla l’appunto: lo trasforma. I libri iniziano a essere letti con la matita in mano. I margini diventano spazio di conversazione, i quaderni di lettura strumenti per rielaborare idee altrui.
In ambito scolastico, l’appunto a mano libera diventa pratica diffusa. I quaderni scolastici, spesso decorati e custoditi gelosamente, testimoniano non solo lo studio ma anche la formazione del carattere.
Appunti nel Novecento: carta, università, giornalismo
Nel secolo scorso, l’era della carta raggiunge il suo apice. Le scuole e le università si popolano di studenti armati di penne, quaderni, raccoglitori, post-it.
L’appunto assume molte forme: riassunto, schema, mappa concettuale, copia fedele, parafrasi. Si studia anche attraverso la riscrittura, si memorizza copiando. È un atto fisico e cognitivo.
Anche il giornalismo vive di appunti. Taccuini nelle tasche dei cronisti, registratori con trascrizioni, blocchi a spirale. La scrittura rapida, nervosa, essenziale diventa la grammatica del racconto moderno.
Negli anni ’80 e ’90, con la diffusione del personal computer, nascono i primi appunti digitali: file .txt, software di videoscrittura, clip salvati e archiviati. Ma è ancora un’epoca ibrida, dove carta e schermo convivono.
L’era digitale: note, cloud, multitasking
Con l’arrivo dello smartphone, l’appunto cambia forma e velocità. Prendere appunti diventa istantaneo, ubiquo, sincronizzato. Nascono app come Evernote, Notion, Google Keep, OneNote.
Si può scrivere con la tastiera, con la voce, con il dito. Si possono incorporare immagini, link, audio, tag, notifiche. L’appunto non è più un oggetto statico, ma un sistema dinamico e interattivo.
Tuttavia, la sovrabbondanza di informazioni rende spesso più difficile decidere cosa annotare. La facilità di scrivere riduce l’impegno mnemonico, e si diffonde l’abitudine a prendere appunti per non dover ricordare, invece che per ricordare meglio.
Allo stesso tempo, nascono pratiche ibride: il bullet journal, che unisce carta e organizzazione mentale; o il digital garden, una sorta di “taccuino pubblico” in continuo aggiornamento.
Appunti oggi: tra memoria, apprendimento e identità
Oggi gli appunti non sono più solo strumenti di studio. Sono tracce di vita mentale, di lavoro, di creatività.
Ogni volta che scriviamo una nota, facciamo una scelta: fissiamo un dettaglio, un’idea, un dubbio. Creiamo connessioni invisibili che, nel tempo, diventano mappe del nostro modo di pensare.
Prendere appunti, in fondo, è una forma di auto-narrazione. Non per gli altri, ma per noi stessi. È il tentativo di fermare il pensiero in movimento, di renderlo accessibile anche a chi lo penserà in un altro momento (cioè noi stessi) .
E oggi che tutto sembra effimero, prendere appunti — su carta o su schermo — è anche un gesto di resistenza. Una dichiarazione silenziosa: questa cosa vale la pena di essere ricordata.