La rivoluzione digitale è spesso raccontata come una storia di progresso inarrestabile: connessioni più veloci, intelligenze artificiali sempre più avanzate, strumenti che ci semplificano la vita. Eppure, dietro la narrazione entusiasta dell’innovazione, c’è un lato oscuro che riguarda pochi: le persone che restano indietro.
La tecnologia non è neutrale. Può ampliare le opportunità, ma anche allargarle solo per chi è già in vantaggio. In questo articolo cerchiamo di capire chi sono gli esclusi della rivoluzione digitale, perché succede e cosa possiamo fare per costruire una società davvero connessa, ma anche equa.
Punti Chiave
- La rivoluzione digitale ha ampliato le disuguaglianze sociali ed economiche, anziché ridurle.
- Milioni di persone nel mondo non hanno accesso a Internet, a dispositivi adeguati o alle competenze necessarie.
- Le disuguaglianze digitali si intrecciano con quelle già esistenti: povertà, età, genere, istruzione, disabilità, geografia.
- L’automazione rischia di sostituire lavoratori senza offrire loro alternative concrete.
- Servono politiche pubbliche, educazione e inclusione tecnologica per evitare una “società a due velocità”.
Accesso: la prima barriera
Nonostante la diffusione globale delle tecnologie digitali, circa 2,6 miliardi di persone nel mondo (dati 2023, ITU) non hanno accesso a Internet. E anche tra chi è connesso, molti dispongono solo di reti instabili o lente, oppure accedono solo tramite cellulari obsoleti o senza dati sufficienti.
E in Italia?
Anche nei Paesi “avanzati” il digital divide è reale. In Italia, secondo l’ISTAT, nel 2023 quasi il 18% delle famiglie non ha una connessione Internet fissa. La situazione peggiora nel Sud e nelle aree rurali, dove le infrastrutture sono carenti e la copertura è irregolare.
Il primo tipo di disuguaglianza digitale è dunque tecnologico: chi non ha i mezzi per accedere alla rete è escluso da una parte crescente della vita sociale, lavorativa e culturale.
Competenze: il vero scoglio
Ma l’accesso non basta. Anche chi ha un dispositivo e una connessione può essere escluso se non sa usare la tecnologia in modo efficace.
Parliamo di competenze digitali di base, come:
- Usare una mail, un motore di ricerca, un software per scrivere.
- Riconoscere notizie false o siti poco affidabili.
- Usare un’app per accedere a servizi pubblici o sanitari.
In Italia, solo il 45% della popolazione ha competenze digitali almeno basilari. Tra gli over 65, la percentuale scende sotto il 20%. Questo significa che milioni di cittadini non sono in grado di gestire la propria identità digitale, prenotare una visita medica, accedere a SPID o leggere una bolletta elettronica.
Le disuguaglianze digitali si intersecano con altre disuguaglianze strutturali: età, livello di istruzione, status economico, e anche genere. Le donne, in molte aree del mondo, hanno un accesso più limitato alla tecnologia, sia per motivi economici che culturali.
Il rischio dell’automazione
Un altro aspetto critico della rivoluzione digitale riguarda il mercato del lavoro. L’automazione e l’intelligenza artificiale stanno trasformando radicalmente interi settori, sostituendo attività ripetitive o standardizzabili.
Esempi evidenti:
- Casse automatiche nei supermercati.
- Chatbot che sostituiscono operatori umani.
- Sistemi automatizzati nella logistica, nella produzione, nel trasporto.
Chi perde il lavoro a causa dell’automazione spesso non ha le competenze per ricollocarsi in ruoli più avanzati o creativi. Non tutti possono diventare sviluppatori o data analyst. Il risultato è il rischio di una crescente polarizzazione: da un lato, lavoratori iper-qualificati e ben pagati; dall’altro, una massa crescente di persone espulse o dequalificate.
L’inclusione digitale non è solo tecnica: è politica
Troppo spesso si crede che la tecnologia sia neutra, e che basti “dare un tablet” o “insegnare un corso” per colmare il divario. Ma l’inclusione digitale è un processo sociale, non una semplice dotazione tecnica.
Significa:
- Educare le persone a usare la tecnologia in modo critico e autonomo.
- Progettare servizi digitali accessibili, semplici, inclusivi.
- Garantire infrastrutture di qualità anche nelle aree interne, montane, isolate.
- Promuovere politiche attive del lavoro, che accompagnino la transizione verso le nuove professioni.
- Coinvolgere le comunità locali e ascoltare i bisogni reali, evitando soluzioni calate dall’alto.
Disuguaglianza invisibile: chi progetta la tecnologia?
Un aspetto spesso ignorato è che la tecnologia è progettata da chi ha potere, economico, culturale e sociale. I software, le app, gli algoritmi sono costruiti da team che raramente rappresentano l’intera società. Spesso sono uomini, bianchi, giovani, occidentali, ben pagati.
Questo crea un pregiudizio strutturale: si progettano tecnologie per chi è già “dentro” al sistema. I bisogni delle persone con disabilità, degli anziani, dei migranti, dei poveri sono spesso invisibili nel design.
Eppure, la tecnologia non è solo uno strumento: è un ambiente, un linguaggio, un orizzonte culturale. Se è costruito da pochi per pochi, alimenta una spirale di esclusione.
Alcuni dati che fanno riflettere
- Nel mondo, oltre il 90% delle innovazioni tecnologiche arriva da meno di 15 Paesi.
- Il 60% degli sviluppatori software è concentrato in Nord America ed Europa.
- Solo il 27% dei professionisti nel settore tech sono donne (e in ruoli dirigenziali sono ancora meno).
- In molti Paesi del Sud globale, le scuole non hanno accesso a Internet o dispositivi digitali.
Il paradosso della connessione
Siamo più connessi che mai, ma anche più disuguali.
Chi ha le competenze, i dispositivi, la lingua e le risorse può partecipare attivamente alla nuova società digitale. Gli altri rischiano di essere spettatori passivi, utenti marginali o addirittura esclusi.
La tecnologia può essere un potente strumento di inclusione, ma solo se progettata con attenzione, distribuita equamente, spiegata bene, e gestita con responsabilità.
Cosa possiamo fare (come società)?
1. Educazione digitale diffusa
Serve un grande investimento in formazione accessibile e continua, a scuola e fuori dalla scuola, per ogni fascia d’età.
2. Infrastrutture pubbliche
Internet veloce ovunque, accesso gratuito a reti wi-fi, spazi digitali pubblici (come biblioteche, centri civici digitali).
3. Servizi digitali inclusivi
App e siti pensati per chi ha difficoltà visive, cognitive, motorie. Ma anche per chi ha poca alfabetizzazione digitale.
4. Rappresentanza nel mondo tech
Più diversità nei team che progettano e regolano le tecnologie: genere, etnia, età, esperienze, provenienze.
5. Etica e trasparenza
Algoritmi, piattaforme e AI devono essere spiegabili, auditabili, regolamentati. Non possiamo lasciare tutto al mercato.
La tecnologia può essere un acceleratore di giustizia, ma anche un moltiplicatore di disuguaglianze. Tutto dipende da come viene progettata, da chi e per chi.
Oggi abbiamo l’opportunità – e la responsabilità – di rallentare, riflettere, includere. La rivoluzione digitale sarà davvero rivoluzionaria solo quando nessuno resterà indietro.
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